Marco e Mattio by Sebastiano Vassalli

Marco e Mattio by Sebastiano Vassalli

autore:Sebastiano Vassalli [Vassalli, Sebastiano]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Capitolo sesto

I francesi

Gli anni che precedettero l’arrivo dei francesi e la fine della Serenissima furono anni di grandi attese e di grandi incertezze, nella campagna veneta come in molte altre parti d’Europa. L’impressione di tutti, anche della gente del popolo, era di vivere un tempo bloccato, una controra come quella che precede d’estate l’arrivo dei temporali: il cielo è grigio, il tuono brontola qua e là, le nuvole continuano ad ammassarsi e però ancora ci si domanda se lo sconquasso ci sarà davvero, o se alla fine la tempesta si sposterà da un’altra parte e il cielo tornerà sereno. Tutto era imminente, anzi incombente, e non accadeva nulla. In quell’atmosfera di ansia diffusa, e di generale inquietudine, il clima, definitivamente, impazzì: a un decennio di siccità e di persistente bel tempo fece seguito un intero decennio di gran freddo, di alluvioni e perfino di terremoti. Nell’inverno del 1788 il gelo spaventoso trasformò la valle di Zoldo in un castello di ghiaccio in cui gli animali morivano assiderati e gli uomini, nel tentativo di scaldarsi, bruciavano anche le panche e i rivestimenti in legno dei loro tabià; gli operai che tornavano a casa da Venezia raccontarono che la laguna era gelata, e che i signori l’attraversavano in carrozza. (Loro, però, l’avevano attraversata a piedi). C’erano stati anche dei festeggiamenti, per il gelo: in quella patria del lusso e dello sperpero - dicevano i montanari - ci si dava alla pazza gioia per i motivi più incredibili, e perfino per il freddo polare! S’era ballato sulla laguna con i pattini, nonostante fosse quaresima, e s’era perfino allestito uno spettacolo teatrale, un melodramma intitolato Le forze d’Ercole, interamente sul ghiaccio... Con il trascorrere degli anni, però, anche le inquietudini e le paure che erano rimaste così a lungo sospese sopra le teste della gente, incominciarono a prendere corpo e ad avere un nome. Arrivarono le notizie delle «cose di Francia», e arrivò con quelle notizie la paura dei nuovi nemici del genere umano, i cosiddetti «giacobini»: che anche a Venezia - si diceva - complottavano per sovvertire il buon vecchio ordine sociale in cui tutti fino a quel momento erano vissuti, e che era l’unico ordine possibile! Il Leone di San Marco, ormai quasi del tutto inerme contro i nemici esterni, diventò agguerritissimo contro quelli interni, mise occhi e orecchie in ogni villaggio, in ogni cantiere, in ogni casa, in ogni luogo di studio, in ogni béttola... Iniziò la livida stagione dei complotti. Dappertutto si complottava e si tramava e dappertutto si spiava e si riferiva: anche se la faccenda, a ben vedere, era priva di senso, perché i complotti non erano veri complotti, ma vani mormorii contro «la tirannide presente» e vane farneticazioni di «far rinascere l’antica libertà», di «seguitare l’esempio di Bruto» e cose simili; mentre la repressione, come sempre in Italia, era abbastanza forte da far crescere i malumori e da esasperare gli animi, ma non era poi così spietata da riuscire a incutere davvero quel terrore, che avrebbe impedito ai malumori di prendere corpo.



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